Nell’ ultimo film di P Virzi, Notti Magiche, si racconta la parabola di tre giovani scrittori italiani, finalisti di un premio di letteratura alle prese con uno sgangherato mondo del cinema, ai quali viene promesso la realizzazione di un film utilizzando i loro copioni.
Nella scena finale, il regista mette in bocca ad un anziano intellettuale una esortazione ai giovani scrittori che risulta essere una delle frasi chiave del film: “dovete ogni tanto guardare dalla finestra, non pensare solo a voi stessi…ma appena guardare quello che succede dalla finestra”.
La causa della crisi del cinema italiano contemporaneo è il suo perbenismo. Il suo salottismo che lo spinge a guardare il mondo dall’ alto, con distacco e superficialità.
E’ un cinema borghese e papale che non vivendo nel mondo ma osservandolo solo a distanza tende ad ingigantire la realtà, a esasperarla, fornendone una visone in chiaro scuro, grottesca, che ne amplifica i colori e i conflitti. Una serie di dipinti e caricature con contrasti eccessivi che trasformano il mondo in paesaggi e sequenze visuali e quindi quasi innaturali, esteticamente belle ma senza vita, poiché questa ultima gli è stata ritirata dall’ eccesso di distanza.
Ecco, quindi, che i personaggi dell ‘ ultimo film di Virzi, Notti magiche (2018), o quelli di Come un gatto in tangenziale (R. Milani 2017), sono eccessivamente caricaturali, non credibili, cosi come quelli tutti malvagi delle periferie fatte solo di spari, che riecheggiano in sala ad un volume eccessivamente alto, dei vari Gomorra (M. Garrone 2008), Suburra (S. Sollima 2015). Un cinema estetico appena come le immagini amplificatamente colorate dei videoclip di Sorrentino.
Tutto l’ opposto delle sequenza di immagini di Pasolini, che più che guardarle dalla finestra preferiva frequentarle le periferie e viverle e sentirle sul suo corpo. Tutto l’ opposto della tecnica filmica di Zavattini che inseguiva il suo eroe (l’ operaio) durante tutto l’ arco della giornata standogli accanto e non sopra, dalla finestra come suggerisce Virzi ai nuovi registi nel suo ultimo e appena citato lavoro. Nelle immagini delle periferie del neo-realismo o in quelle pasoliniane
c’ era vita proprio perché la camera da presa era al lato dei protagonisti, alla loro altezza, potendo cosi coglierne da vicino ogni espressione, ogni movimento, riuscendo a carpire gli interni delle case e dei loro stati d’ animo, dando attenzione ad ogni loro difetto e ad ogni piccola imperfezione. Non era un cinema borghese o perbenista, non solo per la scelta di rappresentare un quartiere o la periferia cosi come era, senza fronzoli, non utilizzando, se non in minima parte, neanche gli attori, ma i personaggi veri che attraverso una tecnica quasi documentarista interpretavano se stessi (La terra trema di Visconti, Roma città aperta di Rossellini, Accattone, Mamma Roma di Pasolini etc.).
A vederlo oggi il cinema borgese italiano assomiglia alle soap opera americane, non solo perché irreale e non credibile ma perché non riesce, per la sua distanza e per il suo salottismo, a raccontare niente. Sequenze di immagini belle, ben girate ma senza vita.
La fuga dal mondo di per se non è necessariamente una scelta negativa, basti pensare al cinema onirico di Fellini, ma l’ assenza totale di poesia è una colpa irreparabile.
Non c’ è dolore poiché dalla finestra l’ unico dolore possibile è quello degli altri.
Un cinema vicario, come le ideologie politiche moderne della sinistra del secolo passato che parlavano, scrivevano, filmavano di un dolore che non sentivano, poiché la loro appartenenza di classe glielo proibiva. Cosi come quelle parlavano di una unità o di una rivoluzione che non vivevano e di un internazionalismo troppo distante dalla provincia, cosi, il cinema italiano commerciale contemporaneo, borghesino e papale, non abita più un luogo ma quella dimensione sospesa e ridondante che si chiama cinema italiano.
Un cinema che non accade più nel mondo e al quale resta appena il sociale della produzione e il mondo piccolo borghese del backstage.
Meno male che le sale sono, quasi sempre, semi vuote.