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  • Foto do escritorMassimo Di Felice

Dai Politici ai portavoce: i mutamenti del linguaggio politico all’ epoca delle reti digitali



Secondo L. Wittgenstein il linguaggio è la struttura logica del mondo. La forma attraverso cui abbiamo accesso ad esso. Non è eccessivo affermare, secondo il filosofo austriaco, che il linguaggio è il nostro habitat e che le cose che ci circondano non sono altro che parole. Insomma abitiamo il linguaggio.

Ma se l’ esperienza umana è il risultato del linguaggio, come affermava Aristotele, è anche vero che, al contrario di ciò che siamo abituati a pensare, più che essere noi i creatori del linguaggio, ne siamo il prodotto.

F. de Saussure sosteneva che siamo parlati dalle parole. Quando veniamo al mondo entriamo in contatto con esso attraverso le parole. Tutto il nostro processo di apprendimento avviene attraverso una lingua, pre-esistente, già strutturata ed estranea alla nostra esperienza. La incontriamo già pronta, con i suoi vocaboli e i suoi significati che ci indicano il mondo e ciò che apprenderemo a indentificare coma realtà. Un bicchiere, il gatto, la scuola, il parlamento. Ogni parola rimetterà ad un significato preciso e ad una concezione storica e specifica delle cose che non siamo noi ad aver creato ma che abbiamo ereditato e appreso attraverso il linguaggio. Possiamo scegliere le parole che utilizziamo quando parliamo o scriviamo ma non siamo in grado di significarle, ossia di dare a loro un interpretazione inedita o originale, poiché ognuna di queste è portatrice di un significato autonomo e storicamente già determinato.

Date tali premesse ne consegue che non è possibile pensare ad un cambiamento di mondo o ad una trasformazione profonda della nostra condizione senza l’ avverarsi di una corrispondente mutazione linguistica.

Il mondo di Bellarmino era quello descritto dai testi sacri della Bibbia e dal linguaggio della scrittura. Questa ultima lo descriveva come una estesa pianura al centro dell’ universo, illuminata dal sole che le ruotava intorno e dunque facilmente comprensibile e interamente dicibile mediante parole. Bastava leggere la Bibbia per conoscere l’ universo. Il mondo di Galileo, era un pianeta in movimento, contornato da altri pianeti e stelle, a loro volta in orbita nello spazio. Non era accessibile ad occhio nudo, ma solo attraverso l’ estensione meccanica della vista ( il telescopio) e, dato il suo continuo mutamento, risultava impossibile descriverlo attraverso l’ uso di parole ma soltanto attraverso il linguaggio e le formule matematiche che riuscivano a ben descrivere la posizione degli astri, attraverso la misurazione esatta dei loro spostamenti nel tempo e nello spazio. Due linguaggi diversi, le parole e il testo scritto, da un lato, e le formule matematiche, dall’ altro. Due mondi diversi.

La possibilità che le reti digitali e le tecnologie di connessione abbiano rivoluzionato la forma di partecipare e di fare politica deve essere valutata e verificata attraverso l’esistenza o meno di un nuovo lessico e di nuove “parole-significato” che possano testimoniare l’ apparizione di un mondo inedito, diverso da quello fino ad ora conosciuto.

Nell’ ambito della partecipazione nelle reti digitali, negli ultimi anni, si è diffuso il termine “portavoce” in alternativa a quello di “delegato”, “rappresentante eletto” e “politico” professionista.

Nella tradizione delle forme di partecipazione net-attiviste è facile riscontrare l’ utilizzo costante di tale termine che indica un chiaro distacco rispetto alla tradizione delle democrazie rappresentative occidentali.

Il termine fu usato per la prima volta nella seconda metà degli anni novanta, dalle comunità indigene del sud del Messico, discendenti dirette dei Maya, all’ interno del neo-zapatismo, la prima rivolta globale digitale. Le diverse comunità indigene erano divise in sette etnie alle quali corrispondevano altrettanti gruppi linguistici, ed erano tutte riunite all’ interno della Comandancia Clandestina Revolucionaria Indigena CCRI. Ogni etnia era a sua volta composta da molti villaggi. All’ interno di questi ogni proposta veniva discussa in ognuno e votata per alzata di mano. Il risultato delle consultazioni veniva poi trasferito di villaggio in villaggio e da etnia ad etnia attraverso i portavoce, la cui unica funzione era quella di riportare a livello superiore (dal villaggio, all’ etnia) l’ esito della votazione. I portavoce camminavano per giorni nella foresta Lacandona da un villaggio all’ altro per comunicare le decisioni prese. La Comandancia Clandestina Rivoluzionaria Indigena che riuniva i portavoce delle sette etnie, in fine, dopo aver raccolto la votazione di tutti i villaggi e di tutte le etnie, prendeva passivamente la decisione finale, limitandosi a riunire ciò che le diverse comunità avevano deliberato. All’ entrata dei territori indigeni zapatisti ed in ogni comunità era comune incontrare un cartello con su scritto: Benvenuti nel territorio zapatista, qui il popolo comanda e il governo obbedisce. Il “mandar obedeciendo” era l’ espressione-ossimoro che indicava tale originale forma di organizzazione deliberativa. Col passare degli anni e col diffondersi dei movimenti net-attivisti in ogni angolo del pianeta, in seguito alla diffusione dei social network e della forma distribuita e collaborativa delle reti digitali, divenne comune il rifiuto della delega e della figura del politico professionista e la sua sostituzione con la figura del portavoce. Dagli indignados, al movimento cinque stelle, ai diversi movimenti tunisini, egiziani fino alle proteste contro la corruzione in Brasile e in Argentina, i portavoce sembrano aver sostituito definitivamente la figura dei mediatori professionisti della politica. L’ introduzione del nuovo termine offre un nuovo orizzonte alla stessa idea di partecipazione e un significato diverso rispetto a quello esclusivamente elettorale che limitava il contributo dei cittadini al voto e alla delega.

Nelle proteste in Francia i gilets gialli hanno dialogato attraverso otto portavoce, non identificati come rappresentanti del movimento ne, tantomeno, come leaders ma come semplici comunicatori, visto che, come tutte le altre esperienza appena elencate, anche quella francese si è autonominata come plurale, a-partitaria, senza sintesi e senza capi popolo.

Nel caso in cui i gilets gialli decidano di darsi come obiettivo quello di creare un nuovo modello di governo si troveranno dinanzi due diverse strade: o ripetere il solito cammino della sostituzione di un governo con un altro, all’ inizio apparentemente più giusto e più popolare, ma poi, via via, sempre più simile a quello precedente, trasformando i portavoce in ministri e deputati, o intraprendere la via del cambiamento linguistico.

Nel secondo caso, dopo aver sostituito i termini “politico”, “delegato” e “rappresentante”, con quello di portavoce sarà probabilmente necessario sostituire anche il termine “ministro” con quello di “ministro-cittadino”, quello di “sindaco”, con quello di “sindaco-cittadino”, quello di “parlamentare” e “senatore” con quelli di “parlamentare-cittadino” e “senatore-cittadino”. Ognuno di questi termini starà ad indicare la durata limitata nel tempo di ogni mandato e la reale possibilità data ad ogni individuo di assumere temporaneamente un incarico pubblico di governo come portavoce del popolo. Sottigliezze, semplici giochi di parole, osserveranno i bellarminiani e i difensori dei sacri principi della tradizione democratica. “Parti del cielo mai più riviste” diranno i galileiani. Tali mutamenti linguistici appaiono oggi indispensabili alla comprensione delle architetture della partecipazione in rete. Questi indicano, di fatto, l’ emergere di un linguaggio appropriato, idoneo a narrare la costituzione di un agire collaborativo in rete, senza più mediazioni, cosi diverso per forma e obiettivo da quello tutto elettorale della delega.

Sceglieremo di vivere dentro le mura della polis continuando ad usare le parole che ci descrivono il mondo che già conosciamo o proveremo ad abitare sotto la cupola delle costellazioni imparando a formulare linguaggi capaci di dare nomi a pianeti e stelle la cui vista è temporaria e la cui natura ci appare incerta ?


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