La comunità infetta: dalla sfera pubblica alla biocenosi
Secondo Stefano Mancuso, studioso dei sistemi neuro-bio-vegetativi, gli esseri più intelligenti del pianeta non sono gli umani ma le piante. Non solo perchè queste sono molto piu resilienti e longeve degli animali, umani e non, ma anche perchè, a differenze di questi ultimi, che si cibano del sangue e delle carni dei loro simili, sono capaci di produrre il loro fabbisogno trasformando in energia vitale la luce del sole, l’ aria, l’ acqua e riuscendo, cosi, limitando al minimo i loro movimenti, a capitalizzare al meglio le loro risorse. (S. Mancuso Plant revolution, 2017 Ed.Giunti)
Abbiamo rapidamente scoperto in questi giorni che non abitiamo soltanto stati, parlamenti e nazioni ma che siamo parte dell’ intera biosfera e di una infinità di reti di connessione transpecifiche e transorganiche.
Ci siamo rapidamente resi conto che, insieme al clima, alle foreste, agli oceani, anche i virus sono parte della nostra comunità e che questa non può essere più identificata con le architetture della polis e con le assemblee dei soli cittadini umani.
In questi giorni i nostri stili di vita, le nostre relazioni sociali e l’ intera economia mondiale sono stati completamente stravolti da un nuovo tipo di “attore sociale”, non previsto, né come cittadino, né come membro della nostra società. Un tipo diverso di straniero, un “atopos” per tutto il pensiero occidentale.
Nei manuali di sociologia, in quelli di scienze politiche e in quelle di economia non si parla dei virus. Fedeli al dogma dell’ antropoentrismo le scienze umane e sociali hanno riprodotto un idea atropomorfica e semplificata del nostro mondo, immaginandolo come una ecologia composta da soggetti (gli unici portatori di intelligenza e libero arbitrio) e da oggetti inanimati e forme di vita inferiori (piante, batteri, animali).
A differenza di alcuni illustri e bravissimi studiosi come M. Castells, P. Levy, non ho mai interpretato l’ ampliamento delle forme di connessione di internet appena come una espansione della sfera pubblica moderna. Al contrario ho sempre pensato che le reti digitali e le architetture di connessione costituissero una implosione della sfera pubblica opinativa e una sua superazione. Il motivo di tale percezione è semplice e oggi, forse, ancora più evidente: le ultime generazioni di rete hanno iniziato a connettere oltre alle persone, ai dispositivi, anche le cose (IoT), i dati (Big data), le biodiversità, le foreste, i fiumi (sensori) e ogni tipo di superficie. Tale trasformazione ha creato un nuovo tipo di comunità, non più ristretta ai soli umani, che ci permette di comunicare e interagire con tutta la biosfera, creando un nuovo tipo di cittadinanza aperta a tutti i mondi (vegetali, minerali, animali) che ho definito cittadinanza digitale (Di Felice M. La cittadinanza Digitale 2019 Meltemi). La cittadinanza digitale non è appena una forma di intelligenza collettiva (la somma delle umane intelligenze aggregate on line) ma una rete complessa di diversi tipi di intelligenze le cui interazioni dinamiche determinano la nostra condizione abitativa.
Il termine biocenosi sta ad indicare il complesso delle popolazioni animali, vegetali, inorganiche che interagiscono tra di loro, in uno stesso ambiente alterando la propria condizione. Le comunità biotiche non si basano sulle opinioni degli individui ma si attraversano continuamente, alterando lo status originario dei membri. Sono comunità connesse, né solidari, nè aggressive.
In ogni parte del mondo e in ogni angolo del pianeta in questi giorni la governance è passata nelle mani dei dati, della scienza, degli algoritmi, che sono riusciti, in pochi giorni, a zittire e ad avere la meglio sulle ideologie, le credenze e i leader di ogni tipo. Alle opinioni degli umani sono succedute quella automatizzate delle reti di dati e delle connessioni informative transorganiche.
Che tipo di parlamenti possono realizzare la governance di queste ecologie connesse? Nelle comunità biotiche ha senso domandarsi chi è che prende le dicisioni ?
(Continua)